Riceviamo da Antonio Tersalvi e volentieri pubblichiamo
Il ruolo del formatore nella staffetta generazionale
In un articolo sul passaggio generazionale apparso sul Sole24Ore del 4 settembre 2024, Elisa Bassi cita Massimo Recalcati riportandone la frase “ciò che conta nell’eredità è la trasmissione del desiderio (…), essa concerne le parole, i gesti, gli atti e la memoria di chi ci ha preceduto” e l’articolo si conclude con il virgolettato “ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo, se lo vuoi possedere”.
Questa ultima asserzione rappresenta una grossa responsabilità per figli e figlie, generi e nuore chiamati ad occuparsi dell’impresa creata dai genitori o da essi tramandata.
Uno degli aspetti che da consulente appare evidente in molte organizzazioni in cui si è chiamati ad operare per favorire la crescita della committenza o di coloro che la committenza affida all’esperto, è la mancanza di strumenti per la gestione sia dell’ordinario sia dell’imprevisto.
L’erede che esce dall’università o dai molti master seguiti in Italia e all’estero si trova a dirimere conflitti, a risolvere problemi, a prendere decisioni senza una formazione specifica.
Da una parte l’ansia di meritare e di riconquistare l’eredità come sottolineato da Bassi, e dall’altra il convincimento di avere la necessità di crescere e di maneggiare attrezzi nuovi, convince la proprietà o il CdA a chiedere consiglio ad uno specialista di direzione e organizzazione.
Quando il formatore si trova di fronte il discendente di una famiglia di imprenditori chiamato a succedere al parente nella gestione dell’azienda, l’impressione che riceve è quasi sempre di una gran voglia di far bene assieme tuttavia alla consapevolezza di non essere preparati ad affrontare la quotidianità di una gestione efficace.
A questo si aggiunge la percezione di avere gli occhi di tutti puntati su di lui o su di lei con tutte le implicazioni di aspettative di successo che l’ambiente ha nei suoi confronti.
Questo genera un sentimento di incertezza e di timore di non saper prendere la giusta decisione e di non sapere come muoversi in un contesto ancora in parte sconosciuto.
Tra i decisori dell’impresa, che sono spesso i familiari di chi è stato incaricato di dirigere, si opta per l’affiancamento di un professionista che avrà diverse caratteristiche di base per guadagnare la fiducia del committente, ma le più valutate, almeno inizialmente, sono: un’esperienza consolidata (in certi casi si è maggiormente disposti a conferire un incarico quando si comprende che il candidato alla consulenza ha cognizione delle dinamiche produttive e di gestione del settore), un track record di successi dimostrabili e doti di empatia e ascolto.
L’obiettivo è portare l’interlocutore nella condizione di governare con successo l’impresa e continuare a farla crescere in cultura, fatturato e margine.
Con i primi successi generati in autonomia da parte dei figli, del genero o della nuora così come da altri familiari chiamati a dirigere l’azienda di famiglia, crescerà la certezza di aver meritato quel posto e ci si porrà con maggiore sicurezza e determinazione di fronte ai problemi che si incontrano ogni giorno nella gestione di una società.
Nella progettazione di un percorso di crescita, il formatore porrà delle domande, avrà delle risposte e stenderà un progetto macro e micro per rispondere alle richieste e alle aspettative del committente tenendo ben presente che ogni situazione presenta caratteristiche diverse e spunti unici dai quali trarre indicazioni su come muoversi e come interagire, non vale mai la formula one size fits all.
In un clima disteso e di scambio ci si confronterà con racconti di esperienze, errori, successi e si costruirà assieme un profilo robusto, credibile e di riconosciuta leadership spazzando via una volta per tutte la convinzione di avere usurpato un posto che forse spettava ad altri.
Spesso le discussioni vertono su argomenti quali le tecniche di comunicazione, la presa di decisione, la risoluzione dei problemi, la costruzione del team, la gestione del conflitto che se è costruttivo è sempre utile, il riconoscimento del disagio, il mantenimento e la trasmissione dello spirito del fondatore, il rischio e la sua propensione, la gestione di persone e progetti.
Ma, in definitiva, è nel dialogo e nel tratto maieutico, che l’esperto apporta come contributo, che si gioca il successo dell’intervento.
Fondamentali saranno da parte del formatore il rispetto della personalità di ognuno e la pazienza nell’adeguarsi alla tempistica di apprendimento di chi gli viene affidato.
Ci sono situazioni in cui dopo pochi mesi di lavoro l’erede è in grado di gestire autonomamente l’organizzazione e ci sono casi in cui ci si vede e rivede anche per qualche anno vuoi per la complessità della situazione vuoi per la specificità dell’evoluzione aziendale.
Esiste però un altro gruppo di richiedenti aiuto, se così si può dire, e sono i tecnici, gli scienziati e i tecnologi che promossi ad un ruolo direttivo, si trovano da un giorno all’altro a misurarsi con personale, budget, piani strategici, problemi di gestione, deleghe da dare, fiducia da accordare.
È il caso delle start-up, ma non solo, ci sono anche piccole e piccolissime realtà high-tech che esplodono a causa di un prodotto rivoluzionario o di un processo innovativo e che sono costrette a svilupparsi in tempi rapidissimi perché il mercato non può e non vuole aspettare.
Solo allora ci si rende conto, ahimè, che il passaggio dal garage all’azienda strutturata non è breve e che servono attrezzi che in azienda non sono disponibili.
Gli interlocutori del formatore, in questo caso, sono i professional, persone che hanno conseguito risultati brillanti in ambito tecnologico e scientifico e che proprio a causa di tale successo sono promossi a ruoli di direzione quando non di delega amministrativa.
In questo caso, permane la necessità e il convincimento di dover imparare a gestire i collaboratori e il quotidiano ma ci sono alcune diversità rispetto al caso precedente.
Il professional, il responsabile del progetto di ricerca, il direttore ricerca e sviluppo è, fino a un minuto fa, un leader incontrastato proprio per quanto ha dimostrato sinora.
Il timore, spesso neanche espresso a livello conscio, è quello di lasciare un incarico che gestisce agevolmente, in virtù di ciò che sa fare, per una nuova posizione in cui sì c’è il prestigio del ruolo ma che non può dare, almeno inizialmente, il piacere del successo.
Così, lo si ritrova a prendere in mano cose nuove ma contemporaneamente a continuare a svolgere compiti precedenti che per la nuova posizione non sono più di sua competenza ma che gli danno ancora quella soddisfazione che nel nuovo non trova ancora.
Il rischio, in questo caso, è che il professional continui ad usare gli stessi comportamenti cercando di aumentarne la velocità, mentre la vera situazione da gestire è che ci si trova di fronte ad un cambio di ruolo e quindi quello che è richiesto veramente è di fare delle cose diverse.
Il pericolo è di sovraccaricarsi di impegni che per il poco tempo a disposizione non potranno essere svolti con rigore e d’altra parte ritardare quel processo di crescita nel nuovo ruolo che tutti si aspettano.
Chi assiste e forma, in questo frangente, è chiamato a mediare, a confortare e a partecipare alla costruzione di una rinnovata leadership che sia l’espressione di questo nuovo incarico che il professional ha assunto.
L’ultimo aspetto di cui si terrà conto e si contribuirà se non a eliminare per lo meno a limitare è l’ingerenza.
In pochi casi ho visto il fondatore, il patron, partire in camper e lasciare mano libera all’erede o nel caso di una high-tech, il finanziatore dare carta bianca all’ingegnere genio della tecnologia.
L’argomento è delicato, poiché essendo una situazione in divenire, l’equilibrio tra i vari attori è ancora da trovare.
Il formatore avrà il difficile compito di favorire il progressivo affrancamento del suo allievo da una condizione di subordine più psicologica che dichiarata, mantenendo un clima di collaborazione e di reciproca fiducia.
Frasi come: “è ancora giovane e gli do una mano” oppure “è il nostro migliore ingegnere ma su certe cose lo devo seguire” sono indice di un mandato conferito sì formalmente, ma di fatto non liberato da un pregiudizio, comprensibile fin che si vuole, ma che è ostacolo alla crescita dell’individuo e di conseguenza dell’impresa.
In conclusione, con una percentuale di aziende italiane a conduzione familiare che supera il 70%, il passaggio di mano della loro conduzione è un passo cruciale per la crescita dell’organizzazione stessa così come, a livello macroscopico, il mantenimento di quel tessuto di imprese piccole ma attive che solo da noi si ha.
In questo, il contributo del formatore è decisivo per agevolare l’accelerazione del processo e favorire la sua riuscita.
In tutti e due i casi, sarà utile, per partire col piede giusto, fare un’analisi delle caratteristiche comportamentali dell’”erede designato”, un’”assessment” che abbia come obiettivo quello di evidenziare quale sia il punto di partenza della persona e quali i suoi punti forti e punti deboli, in modo da poter costruire un progetto di formazione strutturato ed articolato, cui far seguire, periodicamente, delle verifiche dei progressi fatti.