Ciò che può essere diverso da come è Aristotele, Ethica Nicomachea
Come si può spiegare un’azione umana? Rispondere non è affatto semplice. La spiegazione causale, adottata dalle scienze naturali, è evidente che non dà conto delle interazioni umane. Poniamo il caso che io chieda a una persona di sedersi su un divano: può intendere la mia richiesta e accettare di farlo. Ma potrei anche darle uno spintone affinché cadendo si sieda sul divano. Il risultato è lo stesso in entrambe le situazioni, nonostante siano accadimenti incomparabili. Nel primo caso, la persona avrà compreso il senso della mia richiesta, nel secondo avrei trattato il suo corpo come un oggetto. Ricevere una spinta e comprendere il senso di un’espressione linguistica sono due attività tra loro completamente diverse. Una spinta produce una forza che causa uno spostamento, mentre farebbe sorridere, se volessi sostenere che è stata la forza delle vibrazioni emesse dalla mia voce a spingere la persona a sedersi.
Il metodo scientifico delle scienze naturali si fonda su cause ed effetti e riguarda corpi, oggetti, energia a differenza di quello delle scienze sociali e umane che trova il suo fondamento nel linguaggio e nel senso. Che non sono cose, cioè non hanno dimensioni, né fisica né spaziale.
Una ragione, la si può condividere, fraintendere o negare, ma non la si può misurare come potremmo fare con una cosa. Non tenere distinti i due metodi provoca equivoci e imbarazzi. Lo studio delle ragioni è un ambito scientifico tanto quanto lo è quello delle scienze naturali.
Se le azioni umane fossero spiegabili dal determinismo causale, saremmo considerati degli automi che reagiscono a forze e spinte.
E allora cos’è il senso? Il senso lo ritroviamo nel nostro ragionare, nel rendere conto, negli atteggiamenti, nelle spiegazioni. E’ il nostro modo di comportarci da esseri umani, ossia da animali linguistici. L’azione umana, insomma, comunica un senso perché esprime una scelta ed esibisce sempre di nuovo un carattere sociale, intersoggettivo. Le interazioni tra gli umani non possono avere sembianze private, tutt’altro, esse sono le unità di base della vita sociale, pubblica.
Ora proviamo a spiegare un’interazione, intrecciando il piano logico con quello empirico. Un’azione umana, svolgendosi sempre in un contesto, è soggetta a una serie di vincoli fisici, economici, giuridici, culturali. Compatibilmente con tali vincoli si formano delle opportunità.
E dunque la domanda è: quale azione sarà intrapresa, tenendo conto di quell’insieme di opportunità?
Per rispondere occorre introdurre un’altra variabile: le preferenze, o anche i desideri. In prima approssimazione potremmo dire che un’azione è il risultato di un incrocio tra opportunità, ciò che i soggetti possono fare e le preferenze, quel che essi vogliono (desiderano) fare. Sembrerebbe che le opportunità siano lì, fuori dal soggetto, nello spazio sociale, mentre le preferenze sarebbero l’espressione soggettiva più genuina.
A ben guardare però non ci sono opportunità catalogate da qualche parte, là fuori nel mondo. E qui entra in gioco il ruolo delle credenze che gli umani hanno a riguardo delle opportunità di cui dispongono.
Le credenze possono indurci a limitare o a escludere opportunità o viceversa a sottovalutarne l’inconsistenza. Non solo: un’attitudine che immediatamente balza in alto rilievo nelle interazioni umane è quella di sviluppare aspettative ricorsive: ciascuno si aspetta che gli altri si aspettino da lui ciò che ciascuno si aspetta che gli altri si aspettino da lui, e così via in un regresso all’infinito.
“Il modo di comportarsi comune degli uomini” è la famosa citazione di Wittgenstein che prosegue sostenendo che seguire una regola è un’abitudine collettiva. In buona sostanza, è prevalente nelle azioni umane un agire conforme ad abitudini consolidate.
La condotta umana è quasi sempre uniforme e ripetitiva. Eppure Homo sapiens esibisce un’altra specificità di specie, la potenzialità, intesa come generica capacità creativa, in grado di fronteggiare imprevisti e urti del mondo, ma anche di mutare il corso di una vita, di un gruppo, di una comunità. Sennonché la potenza di agire mostra un suo contrappeso nell’altra accezione di potere, intesa come potenza esercitabile su qualcun altro, il quale subisce, inevitabilmente, una limitazione delle sue possibilità di scelta.
Le relazioni di potere, che sempre più nella contemporaneità assumono forme di servitù volontaria, possono soffocare sul nascere una possibile libertà di scelta. Creatività, innovazione, capacità di offrire risposte nuove sono intermittenti, spesso irretite nei dispositivi di mercato e comunque assenti dalla scena della politica. Lasciando da parte l’ambiguo costrutto del libero arbitrio, decidere (da caedere, tagliare) è un’azione che avviene negli interstizi dei margini, esigui, di libertà concessi dalle credenze, dalle aspettative, dalle abitudini, dalle relazioni di potere. Raramente una decisione assume il segno di una scelta che potrebbe contrastare comportamenti ripetitivi, routinari, obbedienti. Ma ciononostante, l’azione umana può divenire trasformativa e innovativa. Ne vorremmo indicare qui stenograficamente una tra altre.
Prendere la parola è sempre un atto pubblico, sebbene oggi si odano, come rumori di fondo, solo brusii e acuti stridenti. Amplificare e moltiplicare le voci di quei rivoli di discorsi che ancora esibiscono un pensiero critico, potrebbe essere un compito da intraprendere con impegno, mostrando alle nuove generazioni, spesso ridotte al silenzio dalle credenze, dalle abitudini e dalla inconsistenza delle opportunità, non un impalpabile e retorico senso di libertà ma la possibilità di scelte e decisioni autonome.