La vergogna è l’emozione sociale specifica e distintiva
dell’animale umano, dell’animale che può dire “io”
solo a patto di ammettere che dipende da un altro,
che è un “io” letteralmente fuori di sé, che appunto è un “io”
che non ha in sé la propria ragion d’essere.
Felice Cimatti, Vergogna e individuazione, Forme di vita 2006/5
Perché e di cosa ci vergogniamo? Già Charles Darwin nel 1872 notò con le sue innumerevoli osservazioni, raccolte nel volume in edizione italiana, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, alcuni segnali tipici, potremmo chiamarli sintomi, della vergogna. “I piccoli vasi, che formano tutta una rete sulla parte superficiale del volto, diventano gonfi di sangue quando si prova un sentimento di vergogna… non possiamo provocare il rossore con nessun mezzo fisico, cioè con nessuna azione sul corpo. È la mente che deve essere colpita. Il rossore non solo è involontario, ma anzi il desiderio di reprimerlo lo fa addirittura aumentare, perché concentra l’attenzione su noi stessi”.
Al di là delle attente descrizioni, quel che colpisce in altre pagine del testo citato è l’ipotesi, che sarà confermata pienamente soltanto nella seconda metà del secolo successivo, che solo gli umani possano provare vergona. Di più: Darwin comprese che la vergogna è un’emozione universale, presente in tutte le culture. Nel corso del Novecento sia la biologia che l’antropologia filosofica verranno a capo di questa distintività umana, a cui seguiranno numerose indagini sociologiche, in particolare quelle di Erving Goffman.
Le emozioni, e tanto più la vergogna, non sono serbate in una presunta interiorità del soggetto, ma hanno un’origine sociale (con una disposizione biologica) e si manifestano nelle relazioni. Impariamo dai rapporti sociali i nomi delle emozioni, che sono appunto socialmente apprese. Le esibiamo per interagire con i nostri simili in una combinazione danzante di inter-azioni che hanno, spesso, significative conseguenze sociali.
Gli umani, a differenza degli altri animali, sono carenti di istinti, non posseggono quella guida all’orientamento fondata su risposte (re-azioni), prevalentemente univoche, a stimoli esterni (o talvolta anche interni). La nostra specie è esposta a una miriade di sollecitazioni mondane e ambientali che potenzialmente potrebbero avere molto, poco o nessun significato per l’esistenza: è questa una delle ragioni della connaturata incertezza umana. L’agire arbitrario, indeterminato, privo di un repertorio stereotipato di comportamenti, induce il vivente umano a non discriminare con congenita sicurezza ciò che è dannoso da ciò che lo favorisce.
La vergogna è un’emozione radicale, consustanziale alla nostra natura, come lo sono il linguaggio, il bipedismo, il riso e il pianto; ci accompagna come un’ombra in cui rischiamo di perdere la faccia. Cosicché, alla presenza degli altri potremmo manifestare anche intensamente un senso di inadeguatezza, subirne lo sguardo, avere timore del loro giudizio. Il suo contravveleno, al fine di nasconderne gli effetti più eclatanti, come rossore e balbettio, è il pudore che tuttavia ha il limite di essere insidiato dall’imbarazzo, che provoca, a sua volta, uno stato di agitazione. L’imbarazzo è “il dramma della presenza immediata degli altri” chiosa Goffman nel testo (in traduzione italiana), Il rituale dell’interazione, sostenendo, a ragione, che nell’arena pubblica è in palio la corrispondenza tra il Sé e le aspettative sociali, la congruenza e l’efficacia del proprio agire, la cui posta in gioco è nulla di meno che la “felicità immeditata”.
Vergogna e imbarazzo, sia l’una che l’altro hanno declinazioni storiche, culturali, geografiche, di appartenenza a gruppi e classi sociali. Quel che per un borghese dell’occidente può essere causa di vergogna e imbarazzo potrebbe non esserlo per un chamacoco della popolazione india del Paraguay, e viceversa. Anche se, come ho provato a dire, il senso della vergogna e dell’imbarazzo è profondamente incistato nelle culture umane. La vergogna, nonostante il tentativo di arginarla con la costruzione di nicchie culturali come le regole della sociabilità mirabilmente descritte da Georg Simmel, i riti sociali, le etichette, i galatei, è sempre in agguato. E del resto chi di noialtri potrebbe affermare di non aver mai provato vergogna o imbarazzo?
Eppure, per quanto possa apparire paradossale, la vergogna, in alcuni casi, è una sentinella a difesa dell’umanità. Troppo spesso nella nostra contemporaneità assistiamo a spettacoli indecenti da parte soprattutto di coloro che hanno maggiori responsabilità pubbliche, che godono frequentemente di ingiustificati privilegi, esibiti spudoratamente come trofei. È facile per costoro scrollare le spalle e simulare atti di contrizione dopo averla fatta sporca. Allora, vergogna e imbarazzo, spiacevoli e a volte insopportabili emozioni, potrebbero difenderci evitando che si ignorino le proprie e le altrui responsabilità.
Sergio D’Angelo
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